Dott.Ten.Col. Karamchandani

 

            Di solito, appena appoggio la testa sul cuscino, cado addormentato. Una notte, nel febbraio 1949, a Vellore, senza una ragione evidente, non riuscii a dormire e continuai a rigirarmi nel letto. Era qualcosa di molto insolito. All’una del mattino arrivò una telefonata da Tiruvannamalai, una città lontana circa un’ottantina di chilometri, dove mi chiedevano di recarmi lì alle 8 del mattino, dal momento che Bhagavan Ramana era molto malato. Ricevuta la telefonata, caddi profondamente addormentato.

            In quel periodo ero l’Ufficiale Medico del Distretto del North Arcot, e Tiruvannamalai si trovava all’interno della mia giurisdizione. Raggiunsi Tiruvannamalai senza alcuna emozione. Il mio unico pensiero era che dovevo compiere il mio dovere professionale di curare un paziente. La santità di Bhagavan Ramana per me non aveva significato.

            Esaminai Bhagavan Ramana. Aveva il cancro del nervo principale di un braccio. Diedi la mia prescrizione e tornai a Vellore lo stesso giorno.

            Avevo condotto l’esame di Bhagavan Ramana in un modo strettamente professionale. Per lui non provavo sensazioni spirituali, e nemmeno lui mi parlò. Ma lui aveva diretto un momentaneo sguardo di grazia verso di me che mi fece agitare profondamente. Involontariamente, sentii una nuova visione di coscienza spirituale aprirsi davanti a me.

            Quel meraviglioso sguardo di Bhagavan sembrò avvolgermi in un’aura di beatitudine. La spinta spirituale proveniente da lui fu così irresistibile che dopo pochi giorni fui io stesso a compiere una visita a Tiruvannamalai soltanto per la grazia di avere la sua visione. Portai con me mia moglie.

            Visitammo Bhagavan con un sentimento di curiosità e un indefinibile senso di speranza. Facemmo la nostra deferenza e ci sedemmo ai suoi piedi. Non pronunciammo una parola, né lui parlò. Nessuna parola sembrava necessaria. Lui era così traboccante di spiritualità che la sua spiritualità si diffondeva su di noi, avvolgendoci completamente. La serenità si diffuse in noi. Le nostre menti ottennero uno stato di beata, estatica meditazione.

            Il tumore che Bhagavan portava doveva avergli dato il dolore più immenso. Un tale sconvolgente dolore avrebbe fatto sussultare e lamentare l’uomo più forte. Ma la faccia di Bhagavan era serena, sorridente e raggiante. Improvvisamente un discepolo toccò per sbaglio la frangia della sottile benda che copriva il tumore. Bhagavan ebbe una contrazione involontaria. Il discepolo si sentì disorientato e mormorò, “Bhagavan, vi ho fatto male? Era solo la frangia della benda che la mia mano ha toccato.” Bhagavan fece un benigno sorriso e disse dolcemente, “Tu non sai l’enorme peso, come quello di una montagna, che questa frangia porta!”

            Quella casuale esclamazione di Bhagavan indicava la severità del suo dolore. Ma il suo volto divino non mostrava il minimo segno della sua agonia. Rifletteva solo gioia e pace. Lui sembrava aver spostato la sua mente dal corpo a Dio.

            La volta successiva in cui fui convocato alla presenza di Bhagavan, fu quando il suo male era ulteriormente peggiorato. Adesso mi recai al suo Ashram non con l’aria di importanza di un Ufficiale Medico del Distretto che va a visitare un suo paziente, ma con lo spirito di un umile devoto che si reca a servire un santo di immensa grandezza spirituale. I miei compiti come dottore furono uniti con la devozione di un discepolo.

            Quando raggiunsi l’ Ashram, mi venne detto che nelle ultime ventiquattr’ore Bhagavan non aveva preso cibo, e nemmeno una goccia d’acqua; che le implorazioni dei discepoli erano fallite; e che, di conseguenza, l’intera comunità era estremamente ansiosa. Fui supplicato di persuadere Bhagavan a mangiare qualcosa.

            Visitando Bhagavan, trovai indispensabile che lui prendesse dei liquidi. Ma cosa sarebbe accaduto se lui avesse rifiutato anche la mia richiesta? Ordinarglielo dalla mia posizione di medico mi sembrava fuori discussione. Sentii di chiedergli come un dono di accettare la mia preghiera. Pregai interiormente e tenni un bicchiere di latte davanti a lui. Lui mi fissò per un secondo, prese il latte con le mani che tremavano e lo bevve. La mia gioia non conobbe confini. Ci fu sollievo e felicità tutto intorno. Fui ampiamente ringraziato, ma mi sentii immensamente grato per la grande grazia di Bhagavan. Lui aveva sentito la mia silenziosa preghiera e mi aveva concesso il dono. Meravigliosa era l’euforia spirituale che sperimentai alla santa presenza di Bhagavan.

            La volta successiva, fui chiamato a mezzanotte. Quando entrai nella sua stanza, c’erano quattro discepoli. Bhagavan stava dicendo qualcosa in tamil. Questi mi dissero che lui stava chiedendo loro di lasciare la stanza, ma essi volevano restare perché, credevano, lui era in delirio. Cercai di persuaderli ad uscire. Tre di loro uscirono. Il quarto rimase. Bhagavan si voltò verso di lui e bisbigliò, “Tu non vuoi andartene perché pensi di amarmi più degli altri!” Il discepolo adesso comprese che Bhagavan non era in delirio. Si inchinò e uscì.

            Fui lasciato solo con Bhagavan. Come al solito, lui non parlò con me. Anch’io rimasi in silenzio. Ma le vibrazioni che emanavano da lui erano celestiali. Il suo corpo doveva essere in un terrificante, mortale dolore, ma la sua spiritualità divina non ne era toccata. Una scossa di estasi elettrizzò il mio intero essere.

            Somministrai medicine al suo corpo; ma ero a malapena consapevole di essere un Ufficiale Medico di Distretto. Ero consapevole soltanto di un intenso desiderio di adorare questo spirito illuminato. Avevo imparato che Bhagavan non permetteva ai devoti di toccare i suoi piedi. Ma sentii una profonda spinta dentro di me non solo a toccare i suoi piedi benedetti, ma anche a stringerli con amore. Mi feci coraggio e li strinsi con entrambe le mani.

            Meraviglia delle meraviglie! Bhagavan me lo lasciò fare! La sua grazia era abbondante. Mi considerai al settimo cielo. Glorifico questi pochi minuti della mia vita.

            La volta dopo fui chiamato a lui tre ore dopo mezzanotte. Il dolore doveva torturare il suo corpo. Tuttavia, era profondamente addormentato. Un silenzio sacro riempiva la stanza. Era la magica ora dell’alba. Non desideravo disturbarlo. Mi sedetti in silenzio ai suoi piedi. Improvvisamente, lui aprì gli occhi. Il suo sguardo grazioso cadde su di me. Mormorò dolcemente, “U. M. D.!” (cioè Ufficiale Medico di Distretto)

Il particolare tono con cui mi  aveva chiamato mi indicò che ero stato nei suoi sacri pensieri e che mi stava aspettando. Mi sentii benedetto. Lo adorai in silenzio. Il mio intero essere sembrò vibrare di estasi.

In quel periodo mi sentivo irrequieto riguardo una promozione al grado di Generale Chirurgo che mi era legittimamente dovuta in quanto Ufficiale Medico più anziano nella Provincia di Madras. Per quanto cercavo di scacciare l’idea di quella desiderata promozione dalla mia mente, essa continuava a rimanermi davanti e offuscava la mia serenità.

Allora dissi a me stesso, “Perché mi sto affliggendo senza motivo? La prossima volta che visiterò Bhagavan, gli chiederò di farmi ottenere questa promozione!”

            Quando visitai di nuovo l’ Ashram, andai da Bhagavan deciso a chiedere quel dono. Ma accadde una meraviglia. Appena vidi Bhagavan la mia mente si sciolse, la decisione svanì, e io mi sentii pieno di una strana felicità. Una domanda si formulò da sola dentro di me, ma era una richiesta del tutto diversa. Pregai interiormente, “Bhagavan, liberami dal mio desiderio per la promozione. Non voglio niente di mondano. Invece, concedimi l’evoluzione dello spirito.” La mia preghiera sembrò essere immediatamente esaudita. Una gioia splendente inondò le profondità del mio essere. Mi inchinai con riverenza davanti a Bhagavan e lui mi fissò benevolmente.

            La mia ultima visita a Bhagavan fu il giorno in cui lui ottenne il Nirvana. L’ho descritta nel mio libro, Saintly Galaxy; come, visitandolo, trovai che il suo corpo non sarebbe arrivato al giorno dopo; come pregai in silenzio che lui potesse restare nel suo corpo finché portassi mia moglie da Vellore perché lei era sempre stata ansiosa di essere presente agli ultimi momenti della vita di un grande santo; di come lei portò del succo d’arancia per lui; di come lui non accettava nessuna bevanda; di come lo pregai interiormente di bere il succo d’arancia per evitare un grande dispiacere a mia moglie; di come lui accettò la mia preghiera non pronunciata e chiese del succo d’arancia per l’immensa gioia mia e di mia moglie; e di come, poco dopo, in assoluta tranquillità, lui morì. Quella fu una scena di grande malinconica bellezza.

Durante i due mesi in cui fui in contatto con Bhagavan, non pronunciai una singola parola con lui. Ma quale meravigliosa grazia riversò su di me attraverso il suo benevolente sguardo! Davvero una straordinaria esperienza spirituale!

 

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