G. V. Subbaramaya


 

            Il mio primo pellegrinaggio al Sri Ramanasramam fu l’ 8 Giugno 1933. Viaggiai da solo a Tiruvannamalai. A quel tempo provavo un grande dolore, avendo perso improvvisamente, nel Dicembre precedente, il mio figlio di due anni.

Da un paio di anni leggevo i lavori di Sri Ramana Maharshi e altre pubblicazioni dell’Ashram. Il mio interesse principale era stato letterario piuttosto che filosofico. Ero meravigliato dello stile telugu dell’Upadesa Saram che, nella sua semplicità e pulizia, poteva eguagliare quello di Tikkana, il più grande poeta telugu. Mi ero convinto che un tamil che poteva comporre tali versi in telugu doveva essere ispirato divinamente, e volevo vederlo. Ma, quella volta, la mia immediata ricerca era per la pace e la consolazione.

            Durante la mattinata ebbi il darsan di Sri Bhagavan nella vecchia sala. Come i nostri occhi si incontrarono, ci fu un effetto miracoloso sulla mia mente. Mi sentivo come se mi fossi immerso in un lago di pace e, con gli occhi chiusi, sedetti in uno stato di estasi per circa un’ora. Quando tornai alla coscienza normale, vidi che qualcuno stava spruzzando dello spray nella sala per tenere lontano gli insetti, e Sri Bhagavan esprimeva silenziosamente la sua disapprovazione scuotendo la testa.

Appena udii Sri Bhagavan dire qualcosa, mi feci coraggio e gli rivolsi una domanda. “La Bhagavad Gita dice che i mortali gettano via i loro corpi esauriti, così come si buttano via i vestiti smessi e se ne indossano di nuovi. Ma come può questa cosa valere per i bambini i cui corpi sono nuovi? Sri Bhagavan immediatamente rispose: “Come sai che il corpo di un bambino morto non è esaurito? Può non essere evidente; nondimeno, se non è esaurito, non morirà. Questa è la legge della Natura.”

Subito dopo il pranzo, lasciai l’Ashram senza neanche prendere il congedo da Sri Bhagavan. Venni e me ne andai silenziosamente, come uno straniero.

Dopo circa tre anni, visitai di nuovo l’Ashram. Era la primavera del 1936, e questa volta avevo una lettera di introduzione. Sri Bhagavan, ancora prima che gliela porgessi, annuì e mi rivolse un sorriso benevolo. “Perché una lettera di introduzione? Eri già venuto, non sei nuovo.” In aggiunta al mio stupore, in quel momento sentii come se mio padre morto fosse tornato in vita; la somiglianza era così stretta… Da allora il mio approccio con il Maharshi è stato quello di un bambino con un suo genitore, abbastanza diretto e familiare.

Alcuni anni prima ero stato iniziato a due mantra che dovevo ripetere un certo numero di volte durante il giorno. Lo avevo sempre fatto con scrupolo, ma adesso, dopo essere entrato nell’Ashram, non riuscivo né a ripetere i mantra né a fare nessun genere di adorazione formale. Dopo alcuni giorni fui preso dalla paura di incorrere in un peccato, mancando di osservare alle istruzioni della mia iniziazione. Perciò mi rivolsi a Sri Bhagavan stesso, parlandogli chiaramente della mia inosservanza. Sri Bhagavan sorrise e disse, “Poiché hai fatto tanto japa, il suo merito ti ha portato qui. Perché adesso dovresti temere di goderne i frutti?”

Ma avevo anche un problema più serio. Stavo praticando il controllo del respiro come insegnato da Swami Ramtirtha nelle sue opere. Arrivai a uno stadio in cui la mia testa mi dava la terribile sensazione di essere sul punto di rompersi e di cadere in pezzi. Smisi di fare quella pratica, ma la sensazione ritornava ogni giorno all’ora in cui precedentemente la eseguivo, e avevo sempre più la paura di un imminente disastro. Perciò, sul finire della notte, quando Bhagavan era solo, lo avvicinai e gli raccontai il mio problema. Disse ridendo, “Cosa! Di nuovo sei preso dalla paura! Queste sono le esperienze consuete di chi fa esercizi yogici senza la vicina guida di un Guru… ma, essendo venuto da me, perché dovresti temere?” Poi aggiunse sottovoce: “La prossima volta che hai quella sensazione, pensa a me e tutto andrà bene.” Da quel momento in poi, quella sensazione non è più tornata.

Una volta un visitatore, Duncan Greenless, disse, “Bhagavan, mentre siamo in Vostra presenza, una certa atmosfera di pace e di purezza sembra circondarci. Quest’atmosfera continua ancora per qualche tempo dopo che siamo andati via da qui, ma poi scompare e ritornano le vecchie stupidità. Perché ciò avviene?” Sri Bhagavan replicò, “E’ tutto opera della mente. Come una batteria che si esaurisce e deve essere ricaricata. Ma quando il controllo della mente è perfetto, non ci saranno ulteriori problemi.”

Mi venne chiesto di tradurre in telugu un articolo su Sri Bhagavan del suo devoto inglese, il Maggiore A. Chadwick. Fu suggerito che esprimessi le stesse idee in una poesia in telugu. Con la ispirante presenza di Sri Bhagavan, composi sedici versi in due ore, e, su richiesta dello stesso Sri Bhagavan, li lessi davanti a tutti nella sala. Quando arrivai al quindicesimo verso, che recitava, “In questa occasione, quando ci riuniamo ai piedi di Sri Bhagavan, non dovremmo mai discutere di filosofia né valutare i nostri personali progressi nella spiritualità, ma semplicemente riversare i nostri cuori per la Sua condiscendenza nel vivere con noi e nel soccorrerci in questi sessanta anni,” la mia voce si ruppe per l’emozione e venne meno; anche Sri Bhagavan si commosse. Con grande difficoltà, in qualche modo riuscii a completare la lettura.

Devaraja Mudaliar, un famoso avvocato e intimo devoto, chiese come Sri Bhagavan potesse osservare distinzione tra i suoi devoti. “Per esempio”, aggiunse, “sbagliamo se diciamo che a Subbaramayya è mostrato un po’ più di favore rispetto agli altri, e che viene fatto agire come l’Alto Sacerdote dell’Ordine?”

Sri Bhagavan, sorridendo, rispose, “Per me non c’è distinzione. La Grazia scorre come l’inesauribile oceano. Ognuno ne prende in relazione alla sua capacità. Come può uno che si porta solo un bicchiere lamentarsi di non essere capace di prenderne tanto quanto un altro che ha portato una brocca?”

            In questo periodo ebbi anche la rara fortuna di lavorare con Sri Bhagavan in cucina. Le ore di lavoro erano tra le 2.30 e le 4.00 del mattino. Sri Bhagavan arrivava puntualmente alle 2.30 del mattino e subito passava un po’ di tempo a tagliare la verdura insieme ai lavoratori e ai devoti. Quindi entrava in cucina e preparava i piatti per la colazione.

All’inizio non sapevo niente di quel lavoro. Come vidi Sri Bhagavan sudare copiosamente vicino al forno, cercai di fargli vento, ma Sri Bhagavan non volle. Mi fermai, ma appena la sua attenzione fu nuovamente impegnata nel lavoro, io ripresi gentilmente a sventolare. Sri Bhagavan, girandosi verso di me, rise e disse, “Tu vuoi riuscirci con l’astuzia, ma non sai nemmeno come farlo in maniera efficace. Lascia che ti insegni.” Dicendo così, mi prese le mani e mi insegnò il modo giusto di sventolare il fazzoletto. Oh! Come trasalii al suo tocco e ringraziai la mia ignoranza!

Dalla cucina ci spostavamo in un’altra stanza per macinare la mistura. All’inizio non sapevo come tenere il pestello e la macina. Sri Bhagavan pose le sue mani sulle mie e girò il pestello nel modo giusto. Di nuovo, che brivido! Quanto benedetta era la mia ignoranza!

Dopo che avevamo finito, Sri Bhagavan prendeva un po’ di cibo da un piatto e lo assaggiava, quindi lo faceva assaggiare anche a noi, e qualche volta, quando le nostre mani erano sporche, egli stesso metteva questo cibo nella nostra bocca con le sue mani. Quello era il culmine della nostra felicità. Quindi si recava nella sala e si sdraiava sul divano, e appariva sonnecchiare quando i bramini arrivavano. Rimanere così vicino a Sri Bhagavan, parlare e scherzare con lui e dividere il frutto del suo prezioso lavoro, era un privilegio e una grande fortuna!

            Il lavoro con Sri Bhagavan aveva i suoi doveri tanto quanto i suoi piaceri. Sebbene Sri Bhagavan fosse pieno di grazia e pietà, era tuttavia anche un maestro rigoroso. Non tollerava nemmeno la più piccola trascuratezza. Tutto doveva essere fatto alla perfezione. Niente doveva andare a male o essere sprecato. Egli richiedeva completa attenzione e implicita obbedienza alle sue direzioni. A ognuno veniva assegnato un compito, che si doveva eseguire al semplice sguardo di Sri Bhagavan. Il mio compito, per esempio, era di fornire sale e acqua, e ogni volta che Sri Bhagavan mi guardava, io dovevo aggiungerli, comprendendo quanto ne serviva.

Ci svegliavamo alle 2 del mattino, ci lavavamo e poco dopo eravamo pronti per fare il nostro dovere. Una volta, comunque, ero in ritardo di cinque minuti. Il lavoro era già iniziato. Sri Bhagavan, assaggiando il preparato, disse che il sale era un po’ troppo, e, voltandosi verso di me, aggiunse, “Dal momento che non c’eri, ho pensato a te al momento di mettere il sale, e questa è la ragione di questo eccesso.” Quello era il modo di Sri Bhagavan di rimproverarmi per la mia mancanza di puntualità.

            Un’altra notte, Sri Bhagavan mi chiese con delicatezza riguardo alla salute di mio genero, che da alcuni mesi mi stava causando una certa ansietà. Dopo aver udito le mie preoccupazioni domestiche, Sri Bhagavan mi guardò negli occhi con la massima simpatia e mi parlò con tenerezza: “Perché non puoi essere come me? Tu sai com’ero quando arrivai a Tiruvannamalai. C’era un periodo in cui andavo per le strade mendicando il cibo. In quei giorni osservavo il silenzio. Perciò camminavo per le strade fermandomi per un momento davanti a una casa e picchiando leggermente le mani. Se non c’era risposta, passavo oltre. Qualunque cibo io e i miei compagni ottenevamo, lo mescolavamo tutto insieme e ne prendevamo un po’ per uno. Mangiavamo così solo una volta al giorno. Adesso vedi quali cambiamenti ci sono stati qui fuori, che edifici sono stati costruiti e come l’Ashram si è sviluppato. Ma io sono sempre lo stesso. Solo il sole sorge e tramonta. Per me non sembra esserci altro cambiamento. Perciò, attraverso tutte le vicissitudini del bene e del male, sii come me e ogni volta che ti senti incline alla depressione e alla malinconia, ricordati di me.” Da allora queste parole benevole sono rimaste con me, e mi proteggono come un talismano contro i mali della vita.

L’Ashram fu molto occupato con le preparazioni del Kumbhabhishekam del tempio della Madre, che doveva essere celebrato durante la terza settimana del Marzo 1949. Con la conclusione di quell’evento, anche la nostra felicità sembrava essersi conclusa.

Poco prima della funzione, una piccola ciste sul braccio sinistro di Sri Bhagavan fu rimossa chirurgicamente. Poco dopo le celebrazioni, nello stesso punto riapparve un tumore, questa volta di maggiori dimensioni e che crebbe rapidamente. Alla mia domanda di come il tumore se ne sarebbe andato, Sri Bhagavan rispose semplicemente: “Come è venuto, se ne andrà.”

Il 14 gennaio del 1950, con uno speciale permesso, andai a congedarmi da Sri Bhagavan e crollai completamente. Sri Bhagavan mi chiamò vicino a lui e mi chiese di toccare il braccio malato. Con gentilezza mi consolò dicendo: “Non preoccuparti. Se ne andrà. Il corpo è esso stesso una malattia, che può essere definita grossolanità. Lo Spirito sottile è impedito con questo mucchio di carne chiamato corpo. Il corpo è morto anche quando l’uomo è vivo, perché non è altro che materia insenziente. Solo lo spirito gli dà l’apparenza di vita e attività… Voi parlate di tumore e lo chiamate Sarcoma maligno. Ma credetemi, quando vi dico che dal mio punto di vista non c’e’ né tumore, né assolutamente Sarcoma maligno.”

L’energia vitale di Sri Bhagavan era indebolita, e il corpo appariva debilitato e anemico. Comunque, il suo volto non tradiva la minima traccia di dolore e sofferenza, e splendeva decisamente con grazia.

            A causa della debole condizione di Sri Bhagavan, il darsan fu limitato alla mattina e alla sera, e, ad eccezione del personale medico, a tutti gli altri fu strettamente proibito di vedere Sri Bhagavan. Perciò quella notte io ero molto triste. Come mi avvicinai alla porta della stanza di Sri Bhagavan, Sri Jayadevalal, che la stava sorvegliando, mi bisbigliò. “Vuoi vedere Sri Bhagavan?” Io risposi “Si, ma non c’e’ il permesso.” Egli disse, “Non importa, entra,” e mi spinse dentro. Sri Bhagavan era solo, con la testa rivolta verso l’entrata come se stesse aspettando di vedere qualcuno. Appena mi rialzai, dopo essermi prostrato, Sri Bhagavan mi disse, “Vieni.” Appena fui davanti a lui, Sri Bhagavan mi chiese: “Cosa desideri?” Io dissi piangendo: “Voglio la sicurezza dalla paura.” Sri Bhagavan rispose con grazia travolgente, “Si, te l’ho data.” Quindi aggiunse: “Non aver paura. Come è venuto, così se ne andrà.”

Immediatamente mi sentii come se un pesante carico fosse stato tolto dal mio cuore, e quando toccai i Suoi piedi con le mie mani e la mia testa, una scarica di estasi passò attraverso il mio corpo, e mi sentii come se mi fossi immerso in un oceano di Pace e di Beatitudine. Quella visione di Sri Bhagavan e delle sue parole benigne hanno preso una dimora permanente nel mio essere e mi proteggono da tutti i mali della vita.

 

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