Kunju Swami

 

            Era il 1919 quando andai da Bhagavan per la prima volta. In quel periodo viveva allo Skandasramam su un versante della Collina Arunachala. Sua madre e suo fratello vivevano con lui. Palaniswami di solito badava alle sue personali necessità. Un’epidemia aveva fatto fuggire la maggior parte degli abitanti della città, e di conseguenza i visitatori erano pochi. Io, perciò, potevo rimanere solo con Sri Bhagavan per la maggior parte del tempo.

Gli raccontai di tutte le pratiche spirituali che avevo seguito, cosa avevo studiato, e che esperienze avevo avuto. A quel tempo ero molto infelice, perché nonostante tutti i miei sforzi, non ero capace di sperimentare il samadhi.

Dopo avermi pazientemente ascoltato, Sri Bhagavan citò dal Kaivalkya Navaneeta:

“Se tu realizzi chi sei, non c’e’ ragione per il dolore.” “Perciò se riesci a capire chi sei, troverai la pace,” disse Bhagavan.

Bene, io non sapevo cosa si intendesse con “conosci chi sei”. Bhagavan mi spiegò che la mente è un cumulo di pensieri e che se io cercavo la fonte di tutti i pensieri sarei stato trascinato nel Cuore. Nello stesso tempo indicò il suo Cuore.

Bhagavan mi stava guardando intensamente e io concentrai la mia attenzione nel modo che mi aveva insegnato e in pochi minuti entrai in samadhi. Ero elettrizzato. Quando tornai ai miei sensi, andammo a pranzo. Mi sedetti di fronte a Lui e di nuovo, con un singolo sguardo, mi rimise in quello stato di beatitudine.

Questa esperienza accadde ripetutamente durante i diciassette giorni che rimasi con Bhagavan. Ero come intossicato, assolutamente indifferente a qualsiasi cosa. Non avevo curiosità di vedere niente, né desiderio di qualsiasi cosa. Quello che facevo, lo facevo per lo più meccanicamente. Avrei continuato a vivere in quella condizione se non avessi pensato che era ingiusto prendere il cibo offerto a Bhagavan dai suoi devoti senza pagare niente. Pensavo che mi avesse iniziato all’esperienza del Brahman e che non avevo niente di più da guadagnare restando in sua presenza. Perciò ritornai al mio paese e cominciai a praticare la meditazione da solo in una stanza della mia casa.  Fui capace di riguadagnare e di mantenere quell’esperienza solo per pochi giorni; essa cominciò a diminuire gradualmente e alla fine, un giorno, fu persa. Non riuscendo più a ripeterla, decisi di ritornare da Bhagavan. Lo feci, e una grande fortuna mi attendeva quando tornai.

Palaniswami, che badava alle necessità personali di Sri Bhagavan, era dovuto andare in viaggio per qualche tempo. Prima di andare, mi chiese di assumere il suo compito. Lo considerai la mia più grande fortuna. Mi sentivo estremamente felice per la Grazia che Bhagavan mi aveva mostrato. Perciò non mi preoccupai più dell’esperienza spirituale.

Comunque, domandai a Bhagavan perché non ero riuscito ad avere quell’esperienza quando avevo meditato nella mia casa. Bhagavan rispose: “Tu hai letto il Kaivalya Navaneeta, non è vero? Non ricordi cosa dice?” Prese il libro e lesse i versi che riguardavano questo tema.

Quindi mi spiegò con grande completezza il senso di tali versi. Essi si riferiscono al dubbio sollevato dal discepolo sulla necessità di continuare le pratiche spirituali anche dopo aver avuto l’esperienza suprema. Il discepolo si chiede se l’esperienza spirituale, una volta guadagnata, possa essere perduta. Il Guru dice che lo sarà fino a che non si occuperà di praticare sravana, manana e nididhyasana, cioè ascoltare la Verità dal Guru, rifletterci sopra e assimilarla. L’esperienza può anche avvenire in presenza del Guru, ma non durerà. I dubbi sorgeranno più e più volte, e per rimuoverli lo studente deve continuare a studiare, riflettere e praticare. Deve continuare ad agire così fino a che la distinzione tra il conoscitore, l’oggetto della conoscenza e l’atto del conoscere non sorgono più.

            Alla luce della spiegazione di Bhagavan, decisi di restare sempre al Suo fianco e praticare sravana, manana e nididhyasana .

Quando in quei giorni avevamo il beneficio di ricevere personali istruzioni da Sri Bhagavan, una di quelle era di entrare in meditazione prima di addormentarsi. Così il sonno arrivava come conseguenza naturale per la fatica e non era indotto o preceduto dallo sdraiarsi. Allo stesso modo la prima cosa della mattina, immediatamente dopo essersi alzati dal letto era entrare in meditazione. Questo assicurava la serenità della mente ed anche una sensazione di instancabilità per tutto il giorno.

La condizione della mente immediatamente prima del sonno è ripresa nella veglia.

            Dopo aver passato circa dodici anni al servizio personale di Sri Bhagavan, cominciai a sentire il bisogno di dedicarmi interamente alla pratica di austerità spirituali. Comunque, non mi sentivo di rinunciare al servizio personale di Bhagavan. Stavo pensando alla questione da alcuni giorni, quando la risposta venne in un modo strano.

Appena entrai nella sala, udii Bhagavan spiegare ai devoti presenti che il vero servizio reso a lui non significava provvedere alle sue necessità fisiche, bensì seguire l’essenza del suo insegnamento: cioè concentrarsi sul realizzare il Sé. Non ho bisogno di dire che questo chiarì immediatamente i miei dubbi. Quindi rinunciai ai miei doveri nell’Ashram; tuttavia trovai difficile decidere come trascorrere l’intera giornata alla ricerca dell’Autorealizzazione. Perciò riferii la questione a Bhagavan e Lui mi consigliò di fare della ricerca del Sé il mio scopo finale, ma di praticare di volta in volta investigazione, meditazione, japa e recitazione di Scritture, passando da una all’altra quando sentivo che quella che stavo facendo diventava fastidiosa o difficile. Con il passare del tempo, disse, la pratica sarebbe diventata stabile nell’Autoinvestigazione, o pura Coscienza o Realizzazione.

Prima di raccomandare qualsiasi sentiero all’aspirante, Bhagavan cercava di scoprire da quale aspetto o forma o sentiero quell’individuo si sentisse attratto, e allora gli raccomandava di seguirlo. Qualche volta approvava gli stadi tradizionali della pratica, dall’adorazione alla ripetizione di mantra, alla meditazione e finalmente alla ricerca del Sé. Comunque, Egli diceva anche che la continua e rigorosa pratica di uno qualsiasi di questi metodi era di per sé adeguato a condurre alla Realizzazione.

Una volta ci furono dei gravi problemi sulla conduzione dell’Ashram. Senza esserne direttamente coinvolto, ne ero tuttavia preoccupato, perché sentivo che se non si fosse riusciti a risolverli in maniera soddisfacente ne sarebbe andato del buon nome dell’Ashram. Un giorno, due o tre devoti andarono da Sri Bhagavan e gli esposero il problema. Io entrai nella sala mentre ne stavano parlando; il Maestro immediatamente si girò verso di me e mi chiese perché mi stavo interessando di tali argomenti. Io non compresi il significato della domanda, perciò Sri Bhagavan mi spiegò che una persona si dovrebbe occupare solo con quello scopo che lo aveva originariamente condotto all’Ashram e mi chiese quale era stato il mio scopo originario. Io risposi: “Ricevere la Grazia di Bhagavan.” Così disse: “Allora occupati solo di quello.” Egli inoltre proseguì domandandomi se avevo avuto qualche interesse negli argomenti riguardanti la conduzione dell’Ashram, quando arrivai qui la prima volta. Alla mia risposta che non ne avevo avuti, Egli aggiunse: “Allora concentrati solo sullo scopo che ti ha fatto venire qui.”

Ci sono numerose fotografie di Bhagavan. Ne avete mai vista una con gli occhi chiusi? Bhagavan diffondeva la Sua Grazia attraverso gli occhi. Ci poteva essere qualsiasi numero di devoti seduti davanti a lui, e ognuno avrebbe sentito che Bhagavan stava guardando soltanto lui o lei.

Lo sguardo di Bhagavan era concentrato solo sullo spazio. Era rivolto verso l’interno e ognuno sentiva interiormente, nel proprio cuore, che il Suo sguardo era focalizzato solo su di lui. Bhagavan si prende cura di tutti, e il Suo sguardo penetra ognuno nel proprio cuore, allontana da noi l’oscurità, ci dà pace, e perfino un po’ di liberazione.

Indietro